Il menù delle feste secondo l’Artusi

Una delle caratteristiche principali della cucina italiana è che non esiste una cucina italiana, ma è la somma di tante differenti tradizioni, usanze e ricette. Così, anche per le feste, è difficile immaginare un menù che sia riconosciuto in tutto il Belpaese e non scontenti nessuno. Basti pensare che la tavola emiliana è già profondamente differente da quella romagnola.
L’unico a cui si può concedere l’esercizio di stile è Pellegrino Artusi, scrittore e gastronomo, universalmente riconosciuto come il padre della cucina italiana in quanto è stato il primo a racchiudere ne “La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene” nel 1891 le ricette tipiche italiane.
Tra i “principii”, come li chiama l’Artusi, i crostini di fegatini di pollo sono i protagonisti. Poi, da buon romagnolo (nacque nel 1820 a Forlimpopoli), l’Artusi sceglie come primo piatto la minestra in brodo per eccellenza di questa terra: i cappelletti all’uso di Romagna con il ripieno di ricotta o metà ricotta e metà Raviggiolo, formaggio vaccino morbido e saporito dell’Appenino tosco-romagnolo (ormai raro a trovarsi e per questo incluso tra i presidi Slow Food).
A Natale e per le festività in generale, sempre secondo il gastronomo romagnolo, non può mancare il lesso di cappone, con uno sformato di riso verde, ossia con “due o tre cucchiaiate di spinaci lessati e passati per istaccio”. Curiosa la proposta del “rifreddo” (pietanza cotta che può essere mangiata fredda), ossia un pasticcio di lepre. Iniziate ad essere sazi? Neanche per idea, c’è l’arrosto: gallina di Faraone e uccelli.
Tre i dolci proposti: il Panforte di Siena, il pane certosino di Bologna e il gelato di mandorle tostate.